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Eclipse

Stava abbarbicata alla colonna dell’ampio letto a baldacchino. Tremava come una foglia per la paura, la sua schiena era percorsa da un brivido freddo. Sentiva il verso stridulo dei pipistrelli che volavano all’esterno. le sue membra erano paralizzate dal terrore, dopo quell’incubo. Ogni minimo rumore le sembrava ingigantito e inquietante e la faceva sobbalzare. Le tenebre che la debole luce della candela non riuscivano a scacciare non contribuivano affatto a rassicurarla. L’aria della grande camera circolare cominciava a sembrarle soffocante e irrespirabile. Voleva scendere dal letto e passeggiare un po’ lungo il corridoio, magari andare un attimo in biblioteca… I muscoli, però, si rifiutavano di collaborare. Finalmente decise e riuscì ad alzarsi. Sentiva le gambe malferme, ma non vi fece caso.

Prese la candela e, tenendola alta davanti a sé, spinse piano l’uscio. La porta non cigolava, come accadeva spesso nei vecchi manieri, cosa che la confortò un poco. Le ombre si allungavano sulle pareti, si rincorrevano, si intrecciavano, danzavano davanti, dietro, e di fianco a lei. Attraverso i piedi nudi sentiva il freddo della dura pietra di cui era fatto il pavimento del corridoio. Gli unici rumori erano il fruscìo dei suoi passi e il lontano suono di una goccia d’acqua che cadeva. Ad un tratto udì degli squittii e un rapido zampettare, che presto però si affievolì e morì nella notte.

Ritta vicino alla pesante porta di legno della biblioteca stava un’armatura, come una sentinella a guardia di un tesoro prezioso. Tra le fessure dell’elmo vuoto le parve di scorgere l’orbita mobile di un occhio, ma si convinse che si trattava di pura illusione.

Posò la mano sul pomello della maniglia, e quasi sentì il gelo che spirava da quella stanza, quasi fosse un monito a starne alla larga. Ma lei era decisa, e voleva entrare, sedersi alla lunga scrivania e leggere qualcosa alla luce della candela. Aveva sempre desiderato farlo, come leggeva nei libri e nei racconti.

Entrò, dunque, e avanzò decisa verso il luogo dove avrebbe letto.

Davanti al tavolo, la vista di qualcosa le raggelò il sangue nelle vene. Le si presentò agli occhi l’orribile spettacolo di una mano inerte che spuntava da sotto il piano di lettura.

Pietrificata, si abbassò lentamente, fino ad illuminare il volto cereo del bibliotecario, un uomo non più giovane, evidentemente morto. Sul suo collo due punture, da cui stillavano ancora poche gocce di sangue.

Abbandonata lì la candela, si girò, iniziò a correre nel buio, urtando l’armatura, dalla quale uscì uno squittìo disperato. La pietra su cui posava i piedi le sembrava ora coperta da mucchi di ossa, scheletri si celavano nell’ombra, teschi ghignanti dietro ogni angolo: finalmente chiuse la porta della sua stanza dietro di sé.

Andò a sedersi sul letto, tirandosi le coperte sulle ginocchia.

Captando una leggera corrente, si accorse che la finestra era stata spalancata. Dalla sua posizione riusciva a vedere che la Luna era entrata quasi tutta nel cono d’ombra dell’eclissi che era stata prevista per quella sera. Si accostò al davanzale per assistere meglio al meraviglioso evento. L’astro era rosso, e splendeva di una luce insolita, quasi inquietante.

A quel punto percepì un leggerissimo fruscìo alle sue spalle e si irrigidì. Attanagliata da un orribile sospetto e da un gelido terrore, cominciò a girarsi lentamente.

Davanti a lei stava un uomo, giovane, bello, con una carnagione bianchissima, perfetta, se solo non fosse sembrata cadaverica. Un lungo mantello nero gli cingeva le spalle. Gli occhi rossi brillavano intensamente.

Era immobile, e la fissava tranquillamente.

Le sue labbra scarlatte si incurvarono in un sorriso maligno, mostrando due canini candidi e affilati.

Lei sentì un urlo, il proprio, squarciare la quiete notturna….

Si svegliò di soprassalto.

L’orologio segnava quasi la mezzanotte.

Entrava una lieve brazza: la finestra era aperta, e riusciva a vedere la Luna che era quasi entrata del tutto nel cono d’ombra…..